Era già più di un quarto
dora che ero chiuso là dentro. Il tempo sembrava scorrere con inesorabile lentezza
mentre la poca luce solare che ancora filtrava dalla grata in alto, mi indicava
severamente limminente arrivo del tramonto. Dannazione! Eppure Meggan me
laveva ripetuto mille volte che la porta della cantina era difettosa e che andava
sistemata al più presto e io che cosa le rispondevo? Certo, certo domani.
Domani. Lavevo ribadito anche poco prima che vi rimanessi chiuso dentro e ora, il
ricordo di quelle parole mi provocava scatti di rabbia incontrollata. Tentai di aiutarmi
con utensili vari ma niente di tutto ciò che usavo serviva a cambiare qualcosa. Sembrava
proprio che quella maledetta serratura arrugginita avesse deciso di spirare quella sera.
Comunque, la situazione non era così grave come poteva apparire; sarebbe bastato
aspettare Meggan al rientro dal lavoro, verso le sette. Una cosa era certa: non sarei più
sceso là sotto a prendere la scorta di birra, ci sarebbe andata mia moglie, dora in
poi.
Anzi, la birra lavremmo tenuta su e la fottuta porta mattacchiona lavrei
abbattuta io stesso, per sostituirla con unaltra ultramoderna. Al diavolo tutto.
Il gattino, Fluffy, si strusciò amorevolmente contro la mia gamba. Il suo pelo grigio
risplendeva innaturalmente al chiarore di quella sera di marzo. Era sceso con me prima che
la porta si richiudesse inaspettatamente alle nostre spalle ignare, ed ora anche lui era
un prigioniero inconsapevole di quelle quattro mura scrostate e annerite dal passare degli
anni.
Respiravamo aria umida e marcia, compressa in unarea di sei metri quadrati, in
compagnia di miriadi di insetti che sembravano ridere di noi. Ah, ma sarebbe venuto anche
il loro turno, certo. Dopo lodiosa porta, gli insetti. Un bellinsetticida di
almeno cinque sterline, e poi sarei stato io a ridere di loro.
Mi venne in mente una cosa: non avevo governato Fluffy. Già, poteva sembrare idiota a
dirsi ma ero molto attaccato a quel piccolo micino tigrato delletà approssimativa
di cinque mesi; lo avevo trovato tempo fa nei pressi di una vasta prateria poco fuori
Londra, vicino ad una casa abbandonata, e mi aveva così intenerito che avevo deciso senza
ripensamenti di portarlo con me. E Meggan non aveva avuto nulla da ridire. Così il micino
poté vantarsi di aver trovato un nome e una famiglia nel più breve tempo possibile.
Avrei voluto addomesticarlo, ma non sapevo da che parte cominciare; acquistai una lettiera
blu per i suoi bisogni, certo, ma per il resto, stop. La mia cultura sui
quattrozampe e i felini in particolare terminava là.
Ci fu una cosa che turbò un po Meggan, a dire il vero. Oh, Fluffy le piaceva certo,
lo accudiva come se fosse un bambino, ma quando le raccontai dove lavevo trovato, fu
come se le fosse caduto un secchio pieno di calce in testa. La sua espressione di gioia
cambiò. Anzi a dirla tutta, il suo animo fu letteralmente rapito da una profonda
inquietudine che non se ne andò neanche lindomani, dopo una buona dormita.
Quando le chiesi il perché del suo velato pallore, mi parlò confusamente di un certo
Dottor Heinker, un tizio strampalato e molto riservato. E cosa centrava con Fluffy?
Beh, mi sembrò di capire che le malelingue locali sparlassero a proposito di certi suoi
esperimenti o cose del genere, pazzie talmente folli e sanguinose che nessuno osava
raccontare e che i vecchi del paese si limitavano a bisbigliare incomprensibilmente.
Sembrava anche che avesse subito varie condanne per crimini contro lumanità o cose
del genere. Un ex nazista secondo alcuni, un illustre e stimabile scienziato secondo
altri. Comunque Meggan proseguì e disse che quel tizio era stato sbattuto fuori da
diversi ordini medici a causa di assurde teorie da lui sostenute con troppa insistenza;
così il povero dottore, esasperato dal mondo che bloccava i suoi progetti, si
era ritirato presso la cittadina di Leeds dove aveva consumato la sua vita insieme alla
sua unica inseparabile compagna: la pazzia.
Secondo il quadro che mia moglie aveva tracciato di quel bizzarro individuo, potei
immaginare in che modo egli usasse la scienza medica come tentata giustificazione ai
propri crimini. Il racconto di Meggan terminò quando disse che Heinker conduceva
esperimenti su animali vivi.
Il suo consiglio: abbandonare Fluffy.
Risi forte. Mi resi conto solo allora di quanto mia moglie fosse banalmente superstiziosa
e soggetta alle influenze delle tradizioni locali. Povera Meggan. Era una gran brava
donna, certo, col suo faccino da angioletto avvolto in quei riccioli doro ma
evidentemente avevo sopravvalutato la sua intelligenza. Era unottima cuoca e a letto
ci sapeva fare molto bene, perché quindi rovinarsi così per delle stupidaggini? Io
volevo bene a Fluffy e quelle parole mi innervosirono.
A proposito..., dovera finito? Mi guardai intorno e cercai il nocciolo dei miei
pensieri. Eccolo là. Si era sistemato in fondo ad un angolo della cantina e sembrava che
dormisse, avvolto su se stesso come un fachiro. Meglio così.
Intanto la luce del sole si stava facendo sempre più debole, il suo calore si affievoliva
mentre la notte attendeva con ansia di dare il cambio al giorno. Le prime, timide stelle,
facevano capolino da un cielo color turchese e la luna ritardava la sua entrata in scena.
Meggan ancora non si vedeva, benedetta donna. E Fluffy non aveva mangiato. Fluffy. Quando
il mio cervello cominciò a elaborare di nuovo, mi resi conto con stupore, che quel
cucciolo avrebbe occupato anche i miei nuovi pensieri a venire. La mia mente era rimasta
bloccata sul consiglio di mia moglie. Riavvolsi mentalmente il nastro della memoria e
tornai in cima, allinizio, quando spiegavo a Meggan dove avevo trovato il cucciolo.
Dove lavevo trovato? Ma dentro la proprietà del fantomatico dottor Heinker,
naturalmente, altrimenti quella favola non sarebbe mai venuta fuori, non vi pare?
Coincidenze, da film horror di serie zeta. E allora? Era solo una prateria, la casa era
abbandonata da secoli. Lunico vero nemico da sconfiggere non era il fantasma di un
pazzo ma la superstizione dei vecchi del paese. Probabilmente la povera bestia ronzava da
quelle parti alla disperata ricerca di cibo.
Già, cibo, anche quello era un mistero per me; avevo acquistato confezioni su confezioni
di quelle cose pubblicizzate presuntuosamente come Cibo per gatti, eppure
Fluffy si limitava ad avvicinarsi alla ciotola, annusare e fare dietrofront. Non
lavevo mai visto toccare qualcosa che noi gli offrivamo. O quel cibo era davvero una
porcheria oppure sapeva da sé quando e dove mangiare; spesso, infatti, se ne usciva a
spasso per i prati e quando tornava si leccava i baffetti, con lindubbia espressione
di chi aveva appena consumato un pasto caldo. Ingrassava, e come se ingrassava, indice
sicuro di avvenuta e continua alimentazione. E se proprio dovevo dirla tutta, anche se mi
seccava andare a cercare il pelo nelluovo per una questione insignificante come
quella, mi ero accorto che il micino rispettava sempre gli stessi orari per i pasti. La
mattina alle nove, il pomeriggio alle due, la sera alle sei. Allo scadere di quei minuti,
lo vedevo rientrare sempre sazio e soddisfatto, con la stessa allegra espressione stampata
su quel musino furbo da felino.
Lanciai unocchiata furtiva allangolo che lo ospitava. Adesso era vuoto. Lenti
rumori smorzati come fruscii appena percettibili, stuzzicarono il mio attento e vigile
udito.
Non so perché ma avvertii una goccia di sudore scivolarmi lungo la fronte e morire tra la
barba ruvida. Tensione. Ma tensione per cosa? Sciocchezze. Certo era vero che le sei erano
passate da quaranta minuti ed era vero che lui non aveva mangiato, ma non dovevo farmi
suggestionare da azzardate ed inutili congetture da fantascienza. Da un momento
allaltro avrei potuto vederlo spuntare con in bocca un topo, trasformato in spuntino
provvisorio, tanto per placare la fame. E al diavolo Meggan e Heinker, per Dio! Uno era
morto e laltra lo avrebbe seguito a ruota se non fosse giunta in fretta.
Il sole era calato del tutto e fuori si stava animando unimprovvisa danza di foglie
secche che, sospinte dalla brezza, si muovevano come guidate da fili invisibili.
Loscurità della notte avvolgeva tutto, come un esteso manto di tenebra.
I miei occhi stanchi focalizzarono due puntini rossi che brillavano sinistramente in un
angolo buio della cantina. Altro sudore sul mio corpo, che si raffreddava immediatamente.
Pensai che gli occhi dei gatti brillavano al buio, in effetti, ma non di quel colore,
dovetti ammetterlo. Chiamai Fluffy, attesi il suo miagolio ma al mio orecchio giunse solo
un gutturale grugnito come risposta.
Mi sentivo idiota, sciocco e codardo ma tuttavia non avrei saputo come altrimenti sentirmi
in quel momento. Dispettosi pensieri negativi mi rimbalzavano nel cervello. Heinker.
Esperimenti. Animali vivi. Forse ANCORA vivi. Heinker era pazzo, se mai era esistito. Si,
perché chi mi assicurava dellautenticità del racconto di Meggan? Meggan! Perché
non arrivava a tirarmi fuori da quellincubo? Il ringhio si ripeté, più forte, più
deciso e sulla prima pensai di trovarmi di fronte a un cane, anche se mi rifiutavo di
capire come fosse potuto entrare, rintanarsi laggiù e avere scelto proprio quel fottuto
momento per farsi notare. Lunghe e sconnesse file di denti aguzzi fecero capolino
dalloscurità. Altro che cane. Altro che Fluffy. Quelle erano zanne da dinosauro.
Che cazzo di animale si era nascosto, laggiù? Avvertivo piccoli rumori smorzati che mi
confondevano le idee; quale bestia poteva produrre suoni simili a tentacoli agitati,
insieme a scricchiolii come di mille zampe che si dibattevano sul pavimento?
Soffocai un gemito di terrore. Ormai la mia mente era stata sequestrata e tenuta in
ostaggio dalle ombre della paura e niente avrebbe potuto riscattare la sua perduta
libertà. Niente. Persino la vista di Fluffy stesso, non mi avrebbe reso la tranquillità.
Tutte le mie comode e provvisorie ipotesi atte a razionalizzare la situazione in corso,
andarono a farsi friggere quando da quel buio profondo si innalzò, lunga, imponente e
maestosa, una mostruosa coda di scorpione.
Credo di aver gridato quando si abbatté su di me.
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